venerdì 21 settembre 2012

Conclusioni: Platone e il controllo dei modelli


Le riflessioni che si sono proposte hanno preso in considerazione la pratica mimetica attraverso diverse tematiche come il rapporto tra arte e natura, tra modello di riferimento e copia, tra emulazione e invenzione creativa, tra somiglianza e differenza.
Si è partiti dall’analisi di tali questioni all’interno delle opere di Platone e di Aristotele e le conclusioni cui si era giunti erano le seguenti.

Platone: la paura verso l'incontrollabile
In Platone, che aveva intuito nella pratica mimetica artistica la sua origine divina, la connotazione di questa si presenta già in parte negativa, dal momento che l’origine divina è paragonata alla liberazione delle emozioni in una rappresentazione danzante attraverso l’immedesimazione con il divino (Ione).

L’incontrollabile, però, di per sé non può essere contemplato all’interno della struttura sociale della stato: ecco perché la diffusione di modelli di riferimento che possono danneggiare l’animo e il comportamento di quelli che saranno i futuri guardiani della città non è ammissibile. In questo modo, il rapporto modello-copia deve essere controllato e regolato in maniera tale che il modello possa rimanere inalterato e fisso (proprio come gli Egizi facevano con le loro pitture, rimaste nelle piramidi, Le leggi).

La copia è ontologicamente ridotta a pura apparenza, distante due volte dal vero, e gnoseologicamente non può condurre alla conoscenza diretta della realtà, scientifica e razionale (nòesis), ma solo a una sua riproduzione illusoria (phantasmata). La differenza tra l’interpretazione della mimèsi come un qualcosa che proviene dall’ispirazione divina – una performance – e quella che, invece, la posiziona eticamente e politicamente lontana dal vero – imitazione e rappresentazione –, potrebbe derivare da un cambiamento di percezione che nel mondo greco avvenne da un prima, identificato con la società arcaica pre-ellenistica, e un dopo, identificato, invece, con quella moderna e razionale caratterizzata da una serie di cambiamenti tra cui l’avvento del ragionamento razionale della filosofia.

Non si dimentichi, infine, che la questione della pratica mimetica trova una sua interpretazione anche nelle conseguenze che si sono riscontrate con l’avvento della scrittura. A questo proposito, si rimanda al dialogo Fedro e al mito di Theuth. La scrittura non porta con sé conoscenza razionale dal momento che spesso, come è il caso di Lisia e dei sofisti, si traduce in una ripetizione memonica di battute. Derrida, in seguito, leggerà questo mito attraverso la doppia interpretazione del termine pharmakon: la scrittura può essere dannosa, se è intesa come ripetizione memonica priva di riflessione e conoscenza, ma anche benefica, come ha potuto dimostrare Platone riportando in vita e lasciando alla tradizione il pensiero di Socrate attraverso i suoi dialoghi.


Se volete approfondire le questioni che ho riportato qui sopra, vi rimando ad alcuni miei post precedenti:

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