lunedì 6 agosto 2012

L’idealismo di Fichte: l’Io come libera auto-creazione

Fichte e l'io come libera auto-creazione
Per comprendere, anche se in maniera parziale, la connessione tra l'idealismo di Fichte e il concetto di mimesis, ho preso in considerazione il seguente volume FICHTE J. C., Scritti sulla dottrina della scienza 1794-1804, a cura di Sacchetto M., Torino, UTET, 1999 e in modo particolare i seguenti scritti:
  • Fondamento del sapere teoretico;
  • Seconda Introduzione alla dottrina della scienza;
  • Fondamento dell’intera dottrina della scienza.
Qui di seguito, si propongono alcune osservazioni. 

L'Io penso 
Elemento fondamentale presente nell’Idealismo romantico tedesco è la grande importanza data all’attività creatrice dell’Io:

Io penso è innanzitutto un’espressione dell’attività; 
l’Io è posto come pensante e in quanto tale come agente 
(Fondamento del sapere teoretico, p. 461)

Johann Gottlieb Fichte (1762-1814) concepisce romanticamente l’Io come attività creatrice, cioè come principio assoluto che crea e da senso sia alle cose sia ai singoli soggetti. Principio supremo è, dunque, l’Io che a sua volta, non è posto da altri, ma si pone da sé:

La prima questione sarebbe dunque questa: come l’Io è per se stesso? 
Il primo postulato è: pensati, costruisci il concetto di te stesso e considera come lo fai 
(Seconda Introduzione alla dottrina della scienza, p. 387)

Tale auto-creazione coincide con l’intuizione intellettuale che l’Io ha di se stesso. A differenza delle cose materiali, che sono quello che sono, l’Io pone o crea se stesso liberamente attraverso un atto d’intuizione intellettuale che fa di ogni realtà un qualcosa di attivo:

L’Io è sorgente di ogni realtà. Solo mediante l’Io e con l’Io è dato il concetto di realtà. Ma l’Io è perché si pone perché è. Perciò porsi ed essere sono una e la medesima cosa. Ma il concetto di porsi e quello dell’attività in generale sono ancora una e la medesima cosa. Perciò ogni realtà è attiva e tutto quanto è attivo è realtà
(Fondamento della dottrina della scienza, pp. 187-188)  
 
 

Il Tathandlung e l'immaginazione
Questa prerogativa viene illustrata da Fichte attraverso il concetto di Tathandlung. Si tratta di un termine caratteristico utilizzato per alludere al fatto che l’Io è sia attività agente (Tat) sia prodotto dell’azione stessa (Handlung), ovvero che l’Io è ciò che egli stesso si crea e si produce (esse sequitur agere). Questo basilare principio sembra elevare e ri-elaborare la visione rinascimentale dell’uomo come “libero artefice di se stesso” ovvero come essere che costruisce o inventa se medesimo tramite la propria libertà.

Proiettando tale discorso sull’arte come attività produttrice, Fichte si sofferma sul concetto di immaginazione. Questa nasce dalla reciprocità dell’Io con se stesso, ponendosi sia in modo finito sia in modo infinito: si tratta di una reciprocità che è conflitto con se stesso cui fine è unificare ciò che non può unificare (Fondamento del sapere teorico, p. 253). Di origine kantiana, per immaginazione produttiva Fichte intende l’atto inconscio attraverso cui l’Io pone o crea il non-Io, ovvero il mondo oggettivo di cui l’Io finito ha coscienza. 
Ora se in Kant era produttiva nei confronti di quelle rappresentazioni in cui l’oggetto sembra corrispondere alla struttura conoscitiva della soggettività, in Fichte è la facoltà attraverso cui l’io produce la natura, ovvero la realtà oggettiva “fuori” di noi. La produce inconsciamente, dal momento che la natura ci è data come fuori da noi, ma la produce come se fosse il proprio contenuto profondo, che attende di essere liberato e riportato all’io, al soggetto, alla libertà. Non si dimentichi poi che il lavoro dell’Io è un continuo sforzo (streben) di questo nel suo compito infinito di auto-liberazione dell’Io dai propri ostacoli (Seconda Introduzione alla dottrina della scienza, p. 388).

Streben
Il continuo movimento, la continua attività dell’Io è il nocciolo speculativo dell’Idealismo di Fichte:

L’Io è l’assoluto, secondo Fichte; è l’assoluto che non lascia fuori di sé il proprio limite, ancora “dogmaticamente” come accadeva in Kant, ma lo pone in sé, per superarlo e affermarsi, cioè per affermare sé stesso come assoluto. 
Luogo di questo porre è la coscienza: si tratta perciò di un movimento infinito, di un movimento che non ha fine, perché solo ponendo il limite e superandolo senza mai acquetarsi l’io diventa quello che è, ma anche di un movimento che abbandona il punto di vista del finito, proprio in quanto la coscienza è il suo luogo 
(Givone, pp. 39-40)

L’attività di “superamento” e “affermazione” dell’Io come assoluto è da intendersi, infine, ironicamente. L’ironia si ritrova in questo movimento per cui l’Io pone se stesso per essere superato:

Di qui l’ironia di un superare che non ritorna se non al punto di partenza, 
e di qui anche l’ironia do un ritornare per essere incessantemente risospinti in avanti. L’artista romantico, che guarda alla propria opera ironicamente, con distacco, quasi fosse la mera occasione attraverso cui esaltare la propria soggettività e la propria libertà di creazione piuttosto che dar vita a una nuova realtà autonoma, non potrà non riconoscersi immediatamente nella dialettica fichtiana 
(Givone, pp. 39-40
 
 

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