giovedì 30 agosto 2012

Concludendo: il grado zero della pratica emulativa


Le considerazioni proposte su Fichte, Schelling ed Hegel trovano come punto comune la tensione soggettiva della coscienza nel suo porsi verso l’Assoluto. All’interno di questa ampia categoria, il concetto di mimèsi come imitazione di un modello di riferimento (che sia la natura o il mondo antico) non vi può rientrare se manca della capacità creativa dell’uomo

E’ come se la mimèsi fosse formata da due componenti: una pars destruens, regolatrice e normativa che fa riferimento a quell’insieme di regole che appartengono al mondo antico e alla tradizione; una pars costruens, libera, autonoma, impulsiva e creatrice che simboleggia l’attività dell’Io, della coscienza o dello Spirito verso l’Assoluto. 

L’arte, pertanto, riesce a ricostruire quell’aura sacrale e originaria dello Spirito essendo una porta, una tappa del percorso della coscienza dell’artista, coscienza che risulta essere attiva e creatrice. Fantasia e ispirazione sono, infatti, attività produttive dell’Io e dello Spirito: se questa componente manca, allora la questione mimetica perde la soggettività dell’artista e diventa solo esercizio stilistico. Sarebbe solo contenuto.   

La soggettività dell’artista, infine, non solo è uno dei mezzi dell’arte, ma diventa un elemento fondamentale nel modo di concepire l’arte e la natura nel Romanticismo perché è anche il fine:
  • Fichte affermava che il continuo movimento dell’Io necessita del suo non-Io per arrivare a riaffermarsi come assoluto; 
  • Schelling considerava l’arte come attività che armonizza spirito e natura, soggetto e oggetto, ispirazione e regola, per poi giungere alla rivelazione della verità; 
  • Hegel, infine, parla di bello artistico come prodotto dell’attività umana che non è solo cosciente, ma anche autocosciente perché l’arte opera attraverso lo spirito. 
(qui sotto lo schema di Hegel recuperato dal seguente link => http://www.platon.it/Moduli/dialettica_moderna/dm_p.htm)

 
Insomma, l’arte è un bisogno in cui all’uomo è permesso di riconoscere il proprio io, la propria soggettività attraverso un percorso di autocoscienza. L’arte rinnova l’uomo, lo desta dal torpore, gli conferisce sentimenti, passioni e inclinazioni per fargli ricordare tutto ciò che risiede nell’animo umano, nella sua più segreta intimità.

mercoledì 29 agosto 2012

Che cosa fu il Romanticismo. Parte II

Come visto nel post precedente (Che cosa fu il Romanticismo. Parte I), è in quest’atmosfera si colloca l’idealismo tedesco romantico

Premesse
L’idealismo è a pieno titolo la filosofia dell’età romantica, eppure non tutto l’idealismo è filosofia romantica: ovvero, l’idealismo nasce e vive in età romantica, ma non per forza esso costituisce la filosofia romantica. 
Hegel stesso, il più grande idealista, muove pesanti critiche al Romanticismo, pur essendo per molti aspetti egli stesso romantico. 

Forse l’elemento che meglio contraddistingue il Romanticismo è la vivace polemica anti-intellettualistica, combattuta contro l’intellettualismo illuminista. Questa corrente pone come fondamento della filosofia l’identificazione tra il mondo reale, naturale e storico, e un principio infinito e assoluto (Dio). Esso raggruppa tre filosofi principali, già noti, che sono in ordine cronologico: Fichte, Schelling ed Hegel. 

Questa corrente si sviluppa dopo l’opera di Kant attraverso una discussione del suo criticismo. I filosofi idealisti, infatti, negano l’esistenza del noumeno, che era per Kant la realtà esterna al soggetto, situata al di là dei nostri limiti conoscitivi, e rivalutano il fenomeno (la realtà come noi la conosciamo), ottenendo il risultato che può esistere solamente ciò che si trova nella nostra coscienza. Uno degli elementi più significativi dell’idealismo consiste proprio nel primato della coscienza e dello Spirito a volte declinabile nel concetto di Assoluto o di Infinito a seconda degli autori (Mazzocut, pp. 45 – 46).

Qui di seguito i principali temi dell'idealismo:
  • l’immaginazione intesa come attività produttiva e ironico movimento dell’Io;
  • l’importanza della componente magica e misteriosa che l’arte riesce a cogliere nella natura;
  • il primato della poesia come arte universale dello spirito (Hegel);
  • il talento espresso nel genio.

Che cosa fu il Romanticismo. Parte I


Tra la fine del Settecento e i primi dell’Ottocento, com’è noto, soprattutto in Germania, prende piede quella che Isaiah Berlin definì come “la massima trasformazione della coscienza occidentale” (I. BERLIN, Le radici del Romanticismo; Milano, Adelphi, 2001, p. 49) , ovvero quella rivoluzione copernicana del pensiero e dell’arte solitamente designata come Romantik.

Prime precisazioni
Si possono delineare due interpretazioni di questo periodo (Givone, pp. 53 – 54): 
  1. una prima interpretazione codificata da Hegel ed è da intendersi come quell’indirizzo culturale che trova la sua nota qualificante nell’esaltazione del sentimento e che si concretizza nei rappresentanti del circolo di Jena e in tutti i letterati europei seguaci delle loro idee classiciste; 
  2. un’interpretazione più contemporanea che tende a vedere il Romanticismo come una sorta di “temperie” o “atmosfera” storica che riflette nella letteratura come nella filosofia, nella politica come nella pittura, e di cui fa parte integrante la corrente dell’idealismo post-kantiano. In quest’ottica vi rientrano una costellazione di idee e di atteggiamenti strettamente connessi a determinati eventi storici (il fallimento della Rivoluzione francese, il cesarismo napoleonico, la Restaurazione, i moti nazionali, ecc.) con una cultura antitetica a quella dell’età illuministica.
Il dopo Kant: tra ambivalenze e l'Assoluto
Stimolata dal dibattito sollevato dalla Critica del Giudizio, molti dei principi estetici e filosofici che si erano mantenuti in un certo modo stabili attraverso i secoli, dai Greci fino all’Illuminismo, finiscono per sgretolarsi. E’ soprattutto in questo periodo che si articola la svalutazione del concetto di imitazione della natura dal momento che sopraggiungono altri criteri estetici che rispondono alla creatività dell’artista, al suo talento e meno alla sua maniera. Seguire un modello, classico o meno, significa seguire una certa “maniera”, ovvero fare dell’arte un’attività dedita al diletto nel riprodurre inutilmente una seconda volta la natura o qualsiasi altro modello (Mazzocut, p. 257).

Si precisa che si tratta di un periodo particolare, spesso caratterizzato dall’elemento dell’ambivalenza (Givone, p. 53): in esso coesistono il primato dell’individuo e quello della società, l’esaltazione del passato e l’attesa messianica del futuro, l’evasione nel fantastico e il realismo, il titanismo e il vittimismo, il sentimentalismo e il razionalismo, ecc. 

In questa ambiguità però esiste un elemento comune, ovvero il ritrovamento di una via per l’Assoluto attraverso la polemica contro l’intelletto illuministico e la dissoluzione della metafisica. Si individua già in questo orizzonte l’origine del nichilismo contemporaneo di Schopenhauer e di Nietzsche poi: l’infondatezza della realtà in cui, dal punto di vista estetico, interpretazione e invenzione poetica coincidono senza residuo si risolvono nello scambio dell’immaginario con il nulla (Givone, p. 53). C’è chi volgerà verso esiti religiosi e nichilistici (le due anime del romanticismo, Novalis e Schlegel) sottolineando come i romantici risolvessero la realtà nel mito, nella parola, ma per identificarla con la parola di Dio. 

L'idea di Assoluto e la via estetica per raggiungerlo
Le idee di assoluto sembrano riportare l’opera artistica alla sua originaria e mitica aura sacrale: tra tutte le forme artistiche, quella che guadagna il prima è la poesia. Secondo Karl Wilhelm Friedrich von Schlegel (1772 – 1829), arte e religione, poesia e filosofia sono strettamente connessi da un rapporto particolare (Nel fr.115 Lyceum):

Tutta la storia della poesia moderna è un continuo
commento al breve testo della filosofia […]
poesia e filosofia debbono essere unite

Ma soprattutto è la poesia che consente di cogliere i più misteri segreti (Schlegel, Dialogo sulla poesia):

Tutti i sacri giochi dell’arte sono soltanto imitazioni dell’infinito gioco del mondo, dell’eternamente autocreantesi opera d’arte […]. I misteri più segreti di tutte le arti e scienze appartengono alla poesia. Da essa tutto è uscito, ad essa tutto deve rifluire

In questo modo, l’arte diventa una pratica di disvelamento della verità, grazie ancora al rapporto mimetico tra arte e mondo, rapporto che, però, è mediato dall’impulso originario dello spirito, caratterizzato da un’inesauribile attività inventiva e creatrice di tipo estetico del soggetto (Givone, pp. 54 – 55).
 

martedì 28 agosto 2012

Hegel: l’artista tra soggettività creatrice e fantasia

Dopo aver preso in considerazione il fine dell'arte, ben lontano dalla mera riproduzione del naturale, la questione interessante è considerare la funzione del soggetto artistico. Nel post precedente (Georg Wilhelm Friedrich Hegel: quale è il fine dell'arte? parte I), si è detto che esiste un elemento, la fantasia ovvero quella libera espressione della creazione. In altre parole, non solo l’arte ha a disposizione le forme della natura, ma soprattutto può modellarle, attraverso la fantasia, in infinite e inesauribili produzioni proprie

Quello che si propone di fare all'interno di questo post è di considerare proprio questa componente "fantastica" e "creatrice" (Il bello artistico o l’ideale. L’artista, 3.C in Estetica).


La soggettività creatrice  
L’opera d’arte, poiché scaturisce dallo spirito, ha bisogno di un’attività soggettiva producente, per essere compresa e fuoriuscire. Questa attività è la fantasia dell’artista che si configura nella soggettività creatrice, nel genio e nel talento

La fantasia è quella facoltà artistica attiva, da non confondersi con l’immaginazione, che crea e coglie la realtà e le sue forme, che andranno a sollecitare lo spirito grazie all’udito e alla vista, per poi diventare familiare con l’interno dell’uomo e con le sue passioni. Oltre a cogliere la realtà esterna e interna, deve anche avere una componente razionale in modo tale che la riflessione dell’uomo possa raggiungere coscienza di ciò che è in lui.Con questo sentimento, l’artista fa della sua materia e della sua configurazione il suo Io più intimo, la proprietà più interna di sé come soggetto. 

L’attività della fantasia e dell’esecuzione tecnica si traducono in ispirazione che si accende a un determinato contenuto, dandogli forma, sia nell’interno soggettivo sia nell’esecuzione oggettiva dell’opera d’arte. L’ispirazione proviene da un particolare atteggiamento dell’artista quando questo entra in diretto rapporto con la materia già data e, una volta sollecitato da un pretesto esterno, questo rapporto dall’essere interesse diventa oggetto vivo in sé. 

Il talento e il genio
Ci sono, inoltre, certe capacità particolari, come il talento e il genio utili a raggiungere il fine dell’arte (L’oggettività della rappresentazione in Il bello artistico o l’ideale. L’artista, 3.C.2 p. 324):


è proprio di abbandonare sia il contenuto che il modo di apparire del quotidiano, e di trarre dall’interno elaborandone la sua vera forma esterna solo ciò che è in sé e per sé razionale, mediante un’attività spirituale


Bisogna precisare, però, che se per Schelling il genio è la suprema forma del sapere in grado di cogliere l’Assoluto come unità indifferenziata di natura e spirito, in Hegel queste facoltà sono “solo” soggettive. Il talento è una facoltà particolare (il talento nel suonare il violino, oppure il talento per il canto, ecc.) ed è per questo che può portare solo alla bravura in quel campo. Per essere perfetta, necessita di quelle capacità che solo il genio possiede e di quella predisposizione innata che una persona sensibile ha. Il genio possiede quella naturalità, quella facilità della produzione interna ed esterna. Rimane, però, la convinzione che qualsiasi persona, talentuosa o meno, necessiti dello studio.

Conclusioni prime
In una tale, ampia e complessa, specificazione del fine dell’arte e del fare artistico, poco spazio ha l’imitazione come attività pratica perché non creatrice e non originale. Non bisogna seguire solo una serie di regole di genere e di stile, ma lasciarsi all’ispirazione soggettiva che, invece, di abbandonare l’uomo alla semplice maniera, coglie la materia in sé e per sé razionale, partendo dall’interno della soggettività artistica. L’originalità è come una potenza in sé, potenza intima del pensiero e della volontà soggettiva per rappresentare il suo vero Io secondo verità. L’arte come categoria dello spirito deve aspirare alla perfetta compenetrazione tra interiorità ed esteriorità, come fu espressa dall’arte classica.

lunedì 27 agosto 2012

Georg Wilhelm Friedrich Hegel: quale è il fine dell'arte? parte II

(continuando dal post precedente)
 
Caratteristiche dell'opera artistica
In primo luogo, l’opera d’arte non è un prodotto naturale, ma prodotto dell’attività umana. In particolare, l’opera d’arte non è solo una meccanica riproduzione attraverso istruzioni di uno specifico modello; in questo caso, l’arte sarebbe solo un’attività con un’abilità creatrice completamente vuota e vanificata. 

Contrariamente, l’arte dovrebbe essere attività spirituale dotata di contenuto, insomma non deve solo rispettare alcune regole (perché altrimenti l’arte rimarrebbe inadeguata per quel che riguarda il contenuto), ma deve essere anche quell’attività spirituale che attraverso l’intuizione spirituale di un contenuto si dimostra ricca d’individualità. Questa individualità è da intendersi, come si vedrà, in termini di talento e genio, ovvero di attività autocosciente. 

Operando attraverso lo spirito, l’opera artistica mette in rilievo determinati avvenimenti in una modalità più pura rispetto a come farebbe la natura. Infatti, se le cose naturali sono immediate e uniche, quello che può fare l’uomo è di ri-presentare cose e avvenimenti grazie al suo spirito che raddoppia per sé, prima teoricamente ovvero divenendo cosciente, e poi praticamente nell’impulso a produrre. Questo la natura non potrebbe farlo dal momento che il sensibile lì vi rimarrebbe solo perché vi esiste e non perché c’è quell’impulso che nell’uomo è un bisogno, universale e assoluto, di produrlo come qualcosa per sé (p. 40):

Il bisogno universale dell’arte è dunque il bisogno razionale che l’uomo elevi alla coscienza spirituale il mondo esterno ed interno come un oggetto, in cui egli riconosce il proprio io

In secondo luogo, l’opera d’arte è creata essenzialmente per l’uomo e viene più o meno tratta dal sensibile. L’origine dell’opera d’arte proviene dalla natura e, dunque, dal sensibile, ma quando vi si applica la produzione artistica, il sensibile non è più semplice esistenza materiale. Il sensibile nell’opera d’arte diventa un ideale che, però, non essendo l’ideale del pensiero, esiste ancora come cosa; quando poi lo spirito verrà vibrato nella sua più profondità dalla coscienza, allora gli interessi spirituali che erano sorti dalle forme sensibili diventeranno effettivamente spiritualizzati e lo spirituale apparirà come sensibilizzato.


In terzo luogo, l’opera d’arte ha un fine in sé, ovvero il fine che l’uomo si propone nel produrre forme sensibili sotto forma di opere d’arte non è solo mimetico. L’imitazione, da intendersi come abilità nel riprodurre forme naturali quali esse esistono, soddisfa solo fini interamente formali. Si tratterebbe di una ripetizione superflua, un gioco presuntuoso, una caricatura del reale. Se l’arte imita la natura, non potrà mai esibire la libera produttività umana. Il fine dell’arte, invece, deve trovarsi in qualcosa d’altro dal momento che con l’imitazione formale si avrebbero solo opere di destrezza e non opere d’arte. 

L’arte dovrebbe portare a livello di senso, sentimento e ispirazione, tutto ciò che risiede nello spirito, dovrebbe realizzare la massima "nihil humani a me alienum puto": dovrebbe, insomma, destare dal torpore e dare vita a sentimenti, a inclinazioni e passioni di ogni genere, riempire il cuore, far sentire agli uomini tutto ciò che risiede nell’animo umano, nella sua più segreta intimità. Deve, inoltre, offrire godimento del sentimento e dell’intuizione, in modo tale che le esperienze della vita non lascino indifferenti gli uomini che, in un secondo momento, acquisterebbero più sensibilità.

Prime conclusioni
Insomma, l’arte deve risvegliare i sentimenti, far passare i contenuti del sensibile nello spirito, mettere in moto una serie di sconvolgimenti interni a partire da qualcosa di esterno e di sensibile. Questo stato, afferma Hegel, fa crescere la contraddizione dei sentimenti e delle passioni, rendendo l’uomo baccanicamente ebbro. A questo stato di eccitazione, ne seguirà uno finale in cui la razionalità dovrà trovare in una tale confusione un fine sostanziale più alto. Cogliere la materia sensibile, renderla forma nello spirito per, infine, trasformarla in sostanza in cui i desideri vengono addolciti e ammaestrati (p. 60):

L’addolcimento del potere delle passioni trova perciò il suo fondamento universale nel fatto che l’uomo si libera dall’immediata prigionia di un sentimento e diviene cosciente di esso come qualcosa a lui esterno, verso cui deve comportarsi in modo ideale

L’arte libera il sensibile dalla sua sensibilità: purifica le passioni, perfeziona la morale, ammaestra e rende utile l’opera d’arte all’uomo (dopo aver commosso i sentimenti, trovato i piaceri, diletto e divertimento negli oggetti dell’arte).

Georg Wilhelm Friedrich Hegel: quale è il fine dell'arte? parte I

Ed arrivò il tempo di dedicarsi finalmente a Hegel. 

Prendendo in considerazione quanto detto nei post precedenti, a proposito di Fichte e di Schelling, e ricordando che all'interno di questa categoria storico-culturale l’istanza creativa dell’arte prevale a discapito del principio d’imitazione, quello che si propone di fare è considerare il testo Estetica (Einaudi, 1972) e capire:
  • come mai l’imitazione della natura non debba essere considerata come il fine dell’arte (o, comunque, se lo si ritiene un fine, lo è in modo secondario);
  • quale è il fine dell’arte e dell’artista.

 Si precisa che i paragrafi presi in considerazione sono i seguenti:
  1. Bello naturale e bello artistico, I., 1;
  2. Confutazione di alcune obiezioni contro l’Estetica, I.2;
  3. Concetto del bello artistico, III;
  4. Il fine dell'arte, III;
  5. Il bello artistico o l’ideale. L’artista, 3.C;
  6. L'oggettività della rappresentazione in  Il bello artistico o l’ideale. L’artista.

Il bello artistico e il suo fine
Il punto di partenza non può che essere la differenziazione tra il bello naturale e il bello artistico

Hegel afferma che la bellezza artistica è quella bellezza aperta e generata dallo spirito grazie alle sue predisposizioni più elevate rispetto a quelle della natura e dei suoi fenomeni. La spiegazione di questa superiorità consiste nel fatto che qualsiasi forma d’idea e di pensiero che nasca dallo spirito dell’uomo è sicuramente più elevata, rispetto al qualsiasi prodotto della natura, dal momento che in esso è sempre presente spiritualità e libertà. Insomma la superiorità dello spirito e della sua bellezza artistica di fronte alla natura è da imputare al fatto che lo spirito è il vero, è “quel che tutto abbraccia, cosicché ogni bello è veramente bello, solo in quanto partecipe di questa superiorità” (p. 7). 

A questa superiorità, Hegel aggiunge un altro elemento all’operato artistico, ovvero la fantasia da intendersi come la libera espressione della creazione; non solo l’arte ha a disposizione le forme della natura, ma soprattutto può modellarle, attraverso la fantasia, in infinite e inesauribili produzioni proprie (p. 10):


In questa smisurata pienezza della fantasia e dei suoi liberi prodotti sembra che il pensiero debba perdere l’ardire di porsi compiutamente di fronte tali prodotti, di giudicarli e inserirli nelle sue formule universali



martedì 7 agosto 2012

Schelling: natura e spirito nell’atto creativo dell’arte

Se per Fichte la natura (sia quella interna all’uomo come il corpo e i suoi impulsi, sia quella esterna composta da quelle cose prive di ragione) era il teatro dell’azione dell’uomo (Io e non-Io), per Friedrich Wilhelm Joseph Schelling (1775-1854) questa ha una vita ed è autonoma. La natura deve avere in sé un principio autonomo che la spieghi in tutti i suoi aspetti. Questo principio autonomo è l’Assoluto che deve essere insieme soggetto e oggetto, attività razionale e inconsapevole, idealità e realtà, natura e spirito (GIVONE, p. 41).

La funzione dell’arte
Nonostante ci siano delle continue corrispondenze, Natura e Spirito si configurano come due poli distinti, proprio come separati si trovano soggetto e oggetto. La conciliazione va rintracciata nell’attività che armonizza spirito e natura, il produrre inconscio e conscio, ovvero nell’arte:

L’arte è per il filosofo quanto vi ha di più alto, poiché essa gli apre quasi il santuario dove in eterna ed originaria unione arde come in una fiamma quello che nella natura e nella storia è separato
(Schelling, Sistema dell’idealismo trascendentale, Roma-Bari, Laterza, 1965, p. 301)

Nella creazione estetica, l’artista si compie e l’arte manifesta la vita stessa dell’Assoluto, come identità di soggetto e oggetto, di spirito e di natura, di libertà e di determinismo. L’opera d’arte, infatti, è solo in parte il frutto dell’azione consapevole dell’artista: sebbene l’attività dell’artista sia indirizzata verso un fine, tuttavia egli è spinto alla produzione da un “afflato divino” che lo porta a esprimere cose di cui non riesce a penetrare completamente il senso. L’arte, essendo armonia di spirito e natura, è mediazione tra ispirazione (momento inconscio o spontaneo) e mestiere (momento conscio e meditato). L’arte produce sopprimendo la differenza tra interno ed esterno, spontaneità e legalità, materia e forma: fa coincidere il sensibile e l’idea, stringe in uno tutte le opposizioni che solo attraverso il principio della negazione la riflessione filosofica ha potuto stabilire (GIVONE, p. 43).

La funzione del genio
Da quanto detto qui sopra e considerando uno degli elementi più importanti del Romanticismo, chi concretizza questa vocazione è il genio: è il poeta umano che, nella prospettiva di Schelling, si configura oggettivamente come colui che incarna e concretizza meglio il modo di essere del poeta cosmico, l’Assoluto, che genera le cose del mondo in maniera sia consapevole sia inconsapevole in figure finite che, spesso, non sono facilmente interpretabile.

E’ in questo modo che l’opera d’arte dell’uomo può diventare quell’opera originaria e naturale (uno-tutto, universale-particolare) che l’arte dovrebbe indagare:

La visione che il filosofo si fa artificialmente della natura è per l’arte la visione originaria e naturale
(Schelling, p. 301)

L’opera d’arte come inimitabile? O intuitiva?
Se tale è l’opera nelle sue individuali e irripetibili caratteristiche, inevitabilmente, questa sarà da intendersi come inimitabile. Il fatto è che bisogna ricordare che non si sta parlando di opera d’arte come un qualcosa di concreto e materiale, ma di un’opera d’arte ideale che rappresenta il coronamento della conoscenza. E’ per questo che ciò che ha rilevanza non è tanto l’oggetto-opera, ma l’azione produttiva che può parlare di una sola opera d’arte:

 se la produzione estetica nasce dalla libertà, e se appunto per la libertà quel contrasto fra l’attività cosciente e l’inconscio è l’assoluto, non vi è propriamente che una sola opera d’arte assoluta, la quale può bensì esistere in diversissimi esemplari, ma è tuttavia una, quando pure non dovesse esistere ancora nella forma originaria
(Schelling, p. 300)

Più che imitare, l’arte intuisce:

l’arte intuisce, cioè produce da sé il proprio prodotto, che appunto è prodotto, oggetto, cosa, ma cosa che nello stesso tempo ha in sé la propria ragion d’essere, il proprio principio vivificatore, e non è se non questa ragione, questo principio fatto cosa, ossia questa cosa fatta principio, fatta ragione
(GIVONE, p. 43)

L’arte è intuitiva e non imitativa perché è contemporaneamente attività d’inconscio e conscio, ispirazione e decisione, creatività e regola. Solo intuendo, l’arte diventa organo dell’assoluto, rivelazione della verità avvertendo la compresenza di finito e infinito.

lunedì 6 agosto 2012

L’idealismo di Fichte: l’Io come libera auto-creazione

Fichte e l'io come libera auto-creazione
Per comprendere, anche se in maniera parziale, la connessione tra l'idealismo di Fichte e il concetto di mimesis, ho preso in considerazione il seguente volume FICHTE J. C., Scritti sulla dottrina della scienza 1794-1804, a cura di Sacchetto M., Torino, UTET, 1999 e in modo particolare i seguenti scritti:
  • Fondamento del sapere teoretico;
  • Seconda Introduzione alla dottrina della scienza;
  • Fondamento dell’intera dottrina della scienza.
Qui di seguito, si propongono alcune osservazioni. 

L'Io penso 
Elemento fondamentale presente nell’Idealismo romantico tedesco è la grande importanza data all’attività creatrice dell’Io:

Io penso è innanzitutto un’espressione dell’attività; 
l’Io è posto come pensante e in quanto tale come agente 
(Fondamento del sapere teoretico, p. 461)

Johann Gottlieb Fichte (1762-1814) concepisce romanticamente l’Io come attività creatrice, cioè come principio assoluto che crea e da senso sia alle cose sia ai singoli soggetti. Principio supremo è, dunque, l’Io che a sua volta, non è posto da altri, ma si pone da sé:

La prima questione sarebbe dunque questa: come l’Io è per se stesso? 
Il primo postulato è: pensati, costruisci il concetto di te stesso e considera come lo fai 
(Seconda Introduzione alla dottrina della scienza, p. 387)

Tale auto-creazione coincide con l’intuizione intellettuale che l’Io ha di se stesso. A differenza delle cose materiali, che sono quello che sono, l’Io pone o crea se stesso liberamente attraverso un atto d’intuizione intellettuale che fa di ogni realtà un qualcosa di attivo:

L’Io è sorgente di ogni realtà. Solo mediante l’Io e con l’Io è dato il concetto di realtà. Ma l’Io è perché si pone perché è. Perciò porsi ed essere sono una e la medesima cosa. Ma il concetto di porsi e quello dell’attività in generale sono ancora una e la medesima cosa. Perciò ogni realtà è attiva e tutto quanto è attivo è realtà
(Fondamento della dottrina della scienza, pp. 187-188)  
 
 

Il Tathandlung e l'immaginazione
Questa prerogativa viene illustrata da Fichte attraverso il concetto di Tathandlung. Si tratta di un termine caratteristico utilizzato per alludere al fatto che l’Io è sia attività agente (Tat) sia prodotto dell’azione stessa (Handlung), ovvero che l’Io è ciò che egli stesso si crea e si produce (esse sequitur agere). Questo basilare principio sembra elevare e ri-elaborare la visione rinascimentale dell’uomo come “libero artefice di se stesso” ovvero come essere che costruisce o inventa se medesimo tramite la propria libertà.

Proiettando tale discorso sull’arte come attività produttrice, Fichte si sofferma sul concetto di immaginazione. Questa nasce dalla reciprocità dell’Io con se stesso, ponendosi sia in modo finito sia in modo infinito: si tratta di una reciprocità che è conflitto con se stesso cui fine è unificare ciò che non può unificare (Fondamento del sapere teorico, p. 253). Di origine kantiana, per immaginazione produttiva Fichte intende l’atto inconscio attraverso cui l’Io pone o crea il non-Io, ovvero il mondo oggettivo di cui l’Io finito ha coscienza. 
Ora se in Kant era produttiva nei confronti di quelle rappresentazioni in cui l’oggetto sembra corrispondere alla struttura conoscitiva della soggettività, in Fichte è la facoltà attraverso cui l’io produce la natura, ovvero la realtà oggettiva “fuori” di noi. La produce inconsciamente, dal momento che la natura ci è data come fuori da noi, ma la produce come se fosse il proprio contenuto profondo, che attende di essere liberato e riportato all’io, al soggetto, alla libertà. Non si dimentichi poi che il lavoro dell’Io è un continuo sforzo (streben) di questo nel suo compito infinito di auto-liberazione dell’Io dai propri ostacoli (Seconda Introduzione alla dottrina della scienza, p. 388).

Streben
Il continuo movimento, la continua attività dell’Io è il nocciolo speculativo dell’Idealismo di Fichte:

L’Io è l’assoluto, secondo Fichte; è l’assoluto che non lascia fuori di sé il proprio limite, ancora “dogmaticamente” come accadeva in Kant, ma lo pone in sé, per superarlo e affermarsi, cioè per affermare sé stesso come assoluto. 
Luogo di questo porre è la coscienza: si tratta perciò di un movimento infinito, di un movimento che non ha fine, perché solo ponendo il limite e superandolo senza mai acquetarsi l’io diventa quello che è, ma anche di un movimento che abbandona il punto di vista del finito, proprio in quanto la coscienza è il suo luogo 
(Givone, pp. 39-40)

L’attività di “superamento” e “affermazione” dell’Io come assoluto è da intendersi, infine, ironicamente. L’ironia si ritrova in questo movimento per cui l’Io pone se stesso per essere superato:

Di qui l’ironia di un superare che non ritorna se non al punto di partenza, 
e di qui anche l’ironia do un ritornare per essere incessantemente risospinti in avanti. L’artista romantico, che guarda alla propria opera ironicamente, con distacco, quasi fosse la mera occasione attraverso cui esaltare la propria soggettività e la propria libertà di creazione piuttosto che dar vita a una nuova realtà autonoma, non potrà non riconoscersi immediatamente nella dialettica fichtiana 
(Givone, pp. 39-40
 
 

La questione della mimèsi attraverso la componente romantica e soggettiva dell’artista

Premesse
Tra la fine del Settecento e i primi dell’Ottocento, com’è noto, soprattutto in Germania, prende piede quella che Isaiah Berlin definì come “la massima trasformazione della coscienza occidentale” (BERLIN I., Le radici del Romanticismo, Milano, Adelphi, 2001, p. 49) ovvero quella rivoluzione copernicana del pensiero e dell’arte solitamente designata come Romantik.

Il Romanticismo
Sorto in Germania negli ultimi anni del XVIII, il Romanticismo ha avuto diffusione in tutta Europa nei primi dell’Ottocento. Si possono delineare due interpretazioni di questo periodo [GIVONE, 2008], pp. 53-54:
  1. una prima interpretazione codificata da Hegel, da intendersi come quell’indirizzo culturale che trova la sua nota qualificante nell’esaltazione del sentimento e che si concretizza nei rappresentanti del circolo di Jena e in tutti i letterati europei seguaci delle loro idee classiciste;
  2. un’interpretazione più contemporanea che tende a vedere il Romanticismo come una sorta di “temperie” o “atmosfera” storica che riflette nella letteratura come nella filosofia, nella politica come nella pittura, e di cui fa parte integrante la corrente dell’idealismo post-kantiano. In quest’ottica vi rientrano una costellazione di idee e di atteggiamenti strettamente connessi a determinati eventi storici (il fallimento della Rivoluzione francese, il cesarismo napoleonico, la Restaurazione, i moti nazionali, ecc.) con una cultura antitetica a quella dell’età illuministica.
La svalutazione del concetto di imitazione
Stimolata dal dibattito sollevato dalla Critica del Giudizio, molti dei principi estetici e filosofici che si erano mantenuti in un certo modo stabili attraverso i secoli, dai Greci fino all’Illuminismo, finiscono per sgretolarsi. E’ soprattutto in questo periodo che si articola la svalutazione del concetto d’imitazione della natura dal momento che sopraggiungono altri criteri estetici che rispondono alla creatività dell’artista, al suo talento e meno alla sua maniera. Seguire un modello, classico o meno, significa seguire una certa “maniera”, ovvero fare dell’arte un’attività dedita al diletto nel riprodurre inutilmente una seconda volta la natura o qualsiasi altro modello.

Si precisa che si tratta di un periodo particolare, spesso caratterizzato dall’elemento dell’ambivalenza: in esso coesistono il primato dell’individuo e quello della società, l’esaltazione del passato e l’attesa messianica del futuro, l’evasione nel fantastico e il realismo, il titanismo e il vittimismo, il sentimentalismo e il razionalismo, ecc. In questa ambiguità, però, esiste un elemento comune, ovvero il ritrovamento di una via per l’Assoluto attraverso la polemica contro l’intelletto illuministico e la dissoluzione della metafisica. S’individua già in quest’orizzonte l’origine del nichilismo contemporaneo proprio di Schopenhauer e di Nietzsche: l’infondatezza della realtà in cui, dal punto di vista estetico, interpretazione e invenzione poetica coincidono si risolve nello scambio dell’immaginario con il nulla. C’è chi volgerà verso esiti religiosi e nichilistici (le due anime del Romanticismo, Novalis e Schlegel) sottolineando come i romantici spesso risolvessero la realtà nel mito, nella parola, ma per identificarla con la parola di Dio ([FRANZINI - MAZZOCUT-MIS, 2000], p. 257 e [GIVONE, 2008], p. 53).

L'Assoluto e lo Spirito
Inoltre, l’idea di assoluto sembra riportare l’opera artistica alla sua originaria e mitica aura sacrale: tra tutte le forme artistiche, quella che guadagna il primato è la poesia. Secondo Karl Wilhelm Friedrich von Schlegel (1772 – 1829), arte e religione, poesia e filosofia sono strettamente connessi da un rapporto particolare:

Tutta la storia della poesia moderna è un continuo
commento al breve testo della filosofia […]
poesia e filosofia debbono essere unite 

Ma soprattutto è la poesia che consente di cogliere i più misteri segreti:

Tutti i sacri giochi dell’arte sono soltanto imitazioni dell’infinito gioco del mondo, dell’eternamente autocreantesi opera d’arte […]. I misteri più segreti di tutte le arti e scienze appartengono alla poesia. Da essa tutto è uscito, ad essa tutto deve rifluire

In questo modo, l’arte diventa una pratica di disvelamento della verità, grazie ancora al rapporto mimetico tra arte e mondo, rapporto che, però, è mediato dall’impulso originario dello spirito, caratterizzato da un’inesauribile attività inventiva e creatrice di tipo estetico.

L'Idealismo ovvero il grado zero del processo mimetico
In quest’atmosfera si colloca l’Idealismo tedesco romantico che pone come fondamento della filosofia l’identificazione tra il mondo reale, naturale e storico, e un principio infinito e assoluto (Dio). Esso raggruppa tre filosofi principali, che sono in ordine cronologico: Fichte, Schelling ed Hegel
Questa corrente si sviluppa dopo l’opera di Kant attraverso una discussione del suo criticismo. I filosofi idealisti, infatti, negano l’esistenza del noumeno, che era per Kant la realtà esterna al soggetto, situata al di là dei nostri limiti conoscitivi, e rivalutano il fenomeno (la realtà come noi la conosciamo), ottenendo il risultato che può esistere solamente ciò che si trova nella nostra coscienza. Uno degli elementi più significativi dell’Idealismo consiste proprio nel primato della coscienza e dello Spirito a volte declinabile nel concetto di Assoluto o di Infinito a seconda degli autori ([FRANZINI - MAZZOCUT-MIS, 2000], pp. 45-46).

L’immaginazione intesa come attività produttiva e ironico movimento dell’Io, l’importanza della componente magica e misteriosa che l’arte riesce a cogliere nella natura, il primato della poesia come arte universale dello spirito (Hegel) e il talento espresso nel genio sono solo alcuni dei tanti temi che questo periodo comprende. 

Quello che si propone qui di seguito è capire come, all’interno di questo corrente storica e filosofica, l’istanza creativa dell’arte prevalga a discapito del principio d’imitazione della natura o di modelli passati. Infatti, si presenta uno scenario in cui, da un lato, si trova sempre più una valorizzazione dell’attività artistica, mediata da ispirazione e ragione, in cui l’arte è una delle vie per il raggiungimento dello Spirito, dall’altro lato, invece, si trova una forte concettualizzazione dell’arte in cui si focalizza sempre meno l’attenzione sul particolare materiale dell’opera d’arte e sempre più si delinea l’idea di un’opera d’arte che debba essere eterna, infinita, unica, una e originaria (Schlegel) o che debba trovare la perfetta armonia tra interiorità ed esteriorità. In entrambi i casi, l’attività mimetica, intesa come fine dell’arte, è da considerare solo come puro esercizio: riprodurre un’opera d’arte che di per sé è irripetibile perché originaria e mettere da parte fantasia, soggettività e creatività dell’artista sono due operazioni non contemplabili. E’ nel Romanticismo che il processo mimetico inteso come pratica emulativa del modello trova il suo grado zero.