martedì 15 febbraio 2011

Riflessioni sulla figura dell'oratore, parte III

Vorrei in questo post continuare l'elenco iniziato in quello precedente e terminare con una serie di riflessioni tratte dalla lettura del testo di Elio Franzini e Maddalena Mazzocut-Mis I nomi dell’estetica, Bruno Mondadori, 2003

4. Crasso elenca una serie di precetti che riporto di seguito. Per quanto riguarda l'elocuzione è necessario:
  • parlare in pura lingua latina attraverso lo studio della grammatica (le regole della flessione nominale, quella verbale, la concordanza del numero e del genere) nel corso del periodo dell'istruzione primaria (III, 37-39);
  • parlare con chiarezza: parlare chiaro significa in primo luogo crea un discorso che abbia senso logico (ci sia un prima e un dopo) e che sia chiaro, ovvero che utilizzi termini che siano strettamente connessi alla comprensione dell'argomento (III, 50);
  • parlare con eleganza e convenienza. Per elegante Crasso intende: "Colui che nel parlare è preciso, chiaro, abbondante, luminoso nelle idee e nelle parole, colui che nella sua prosa faccia sentire una specie di ritmo e di cadenza poetica" (III, 53). Mentre, convenienti sono coloro che "regolano secondo le circostanze e la dignità delle persone; ebbene, questi meritano quel genere di lode, che si addice alla esattezza e alla convenienza" (III, 53).
5. la relazione tra oratoria e filosofia. Dopo aver fatto un elenco di filosofi (III, 56) noti per la loro saggezza, condotta e poichè uomini ricchi di cultura e di ingegno fecondo (doctissimi homines...ingeniis uberrimis - III, 57), Cicerone continua affermando che questa categoria di uomini, assieme ad alcuni politici, viveva e parlava bene. In particolare il riferimento è ai filosofi che "trattavano, discutevano, insegnavano l'oggetto della nostra ricerca  [...] Socrate sottrasse tale nome e separò con la sua dialettica la scienza del pensare bene da quella del parlare con eleganza, cose queste che, in realtà, ne formano una sola" (III, 60). Da questa separazione, continua Cicerone, nascerà la frattura tra la lingua e il cuore: oggi insegnano la morale maestri diversi da quelli che insegnano l'arte del parlare bene. Successivamente dalla filosofia socratica (e di Platone) si sono create poi una serie di sette a cui però il perfetto oratore non dovrebbe aderire perchè troppo legato ai piccoli giardini e troppo poco alla vita dei tribunali e del senato (in altre parole della repubblica). Afferma Cicerone: "quell'oratore, cioè, che noi vogliamo che sia l'ispirazione della vita politica, la guida della repubblica, il più eminente tra i senatori nel parlare e nel proporre pareri, il primo tra il popolo, il primo nelle cause di pubblico interesse" (III, 63).
Continuando una breve digressione storica delle diverse sette filosofiche, Cicerone afferma che dopo Socrate, i filosofi hanno cominciato ad allontanare gli oratori e li privarono del nome di filosofi, mentre, invece, prima c'era una forte e mirabile alleanza tra pensiero e parola.
Il fatto è che, secondo Crasso e dunque secondo Cicerone, il campo dell'eloquenza è talmente vasto da abbracciare tutto (origine, essenza, mutamenti, virtù, doveri, sistema) anche quelle caratteristiche che interessano la sfera dello spirito e della vita degli uomini (costumi, usi, diritto, leggi) che sono necessari ingegno, istruzione ed esperienza (III, 76-78). Ecco che la filosofia può aiutare l'oratoria: "Ora, nelle questioni filosofiche è l'acume e la vivacità dell'ingengo, che fanno sprizzare da ogni cosa ciò che è verosimile e lo abbellisce grazie alla sua esperienza oratoria" (III, 79).

Vorrei riprende ora alcune osservazioni di particolare interesse che ho tratto dal testo che ho sopra riportato all'inizio.
In primo luogo, il percorso di studi e di analisi di Cicerone. In base ai due autori (Franzini e Mazzacut-Mis), Cicerone avrebbe cercato di risolvere l’intrinseca difficoltà di cogliere la verità delle res e lo straordinario potere di legittimazione e di costituzione di senso delle verba.
In altre parole, Cicerone non voleva “ridurre la conoscenza delle cose agli effetti di senso e alla persuasione dell’eloquenza […] ricercò un terreno comune in cui potesse esercitarsi il giudizio valutativo sulle questioni che non comportano delle conclusioni necessarie” (p. 136). Res e verba trovano questo terreno comune nel legame tra eloquenza e saggezza depositata nella memoria collettiva della tradizione (cultura, humanitas). L’uomo deve essere padrone di una conoscenza enciclopedica, di studium affinchè la sua opera non sia frutto di artificio.

Tre principi fondamentali (già detti precedentemente):
1. l’uomo deve avere una conoscenza enciclopedica, perché l’eloquenza è unica per tutti i campi;
2. all’uomo occorre lo studium, affinchè la sua conoscenza non sia solo artificio;
3. l’eloquenza è una possibilità propria dell’uomo, la sua humanitas, e dunque la retorica, intesa come artificio, nasce dall’eloquenza come facoltà naturale.

Gli autori fanno notare, inoltre, come il discorso di Cicerone sia sempre una mediazione tra la teoria e la pratica, tra l’artificiale e il naturale, tra l’artificio e le capacità innate all’uomo. Insomma, proprio in questo spazio intermedio si trova la figura dell’oratore: l’eloquenza (innata e spontanea) può accordare la varietà della realtà fenomenica alla realtà del linguaggio. Ecco perché Cicerone traccia i tratti dell’oratore ponendo non solo come elemento principale l’eloquenza, ma anche della filosofia: da qui la versione di vir bonus dicendi peritus, ovvero l’uomo dabbene che sa parlare bene.

Saggezza ed eloquenza, ovvero esercizio eloquente ed erudito della tradizione. Questa espressione ha due conseguenze che incidono profondamente sulla trasmissione della tradizione retorica e che concernono la storia dell’estetica (p. 137). Riporto le stesse parole degli autori: “ci si riferisce sia alle riformulazione dell’idea di luogo comune, di topos, sia al tema dell’elocutio (o lexis), cioè dell’espressione con cui le cose sono dette: questi due momenti dell’arte oratoria giocano un ruolo importante nella concezione dell’idea moderna e contemporanea di cultura e nell’interpretazione corrente della retorica come stilistica o deposito della tradizione”.

Ammetto che il concetto di "deposito della tradizione", per me, è di estremo interesse.

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