lunedì 14 febbraio 2011

Riflessioni sulla figura dell'oratore, parte II

Vorrei prendere in considerazione il terzo libro del De Oratore.
Fin dal suo principio, si nota la malinconia verso il tempo passato (epoca in cui è ambientato il dialogo, il 91 a. C.) e una rassegnazione nei confronti del tempo presente (epoca di Cicerone, il 55 a. C.).
Scrive Cicerone: “acerba sane recordatio veterem animi curam molestiamque renovavit. Nam illud immortalitate dignum ingenium, illa humanitas, illa virtus L. Crassu morte extincta subita est vix diebus decem post eum diem, qui hoc et superiore libro continetur”  (III, 1).

E continua: “Fuit hoc luctuosum suis, acerbum patriae, grave bonis omnibus; sed ii tamen rem publicam casus scuti sunt, ut mihi non erepta L. Crassi a dis immortali bus vita, sed donata mors esse videatur. Non vidit flagrante Italiam bello, non ardentem invidia senatum, non sceleris nefarii principes civitatis reos, non luctum filiae, non exsilium generi, non acerbissimam C. Mari fugam, non illam post reditum eius caedem omnium crudelissimam, non denique in omni genere deformatam eam civitatem, in qua ipse fiorentissima multum omnibus gloria praestitisset.”

Cicerone dedicherà poi ancora diversi passaggi raccontando le imprese retoriche e la morte di Lucio Licinio Crasso. Costui è il vero protagonista del dialogo (III, 2-. Il giorno 13 settembre, lasciata la villa di Tuscolo, s’era recato in senato a fronteggia l’arroganza del console Filippo, che in un discorso al popolo aveva distrutto l’autorità del senato dichiarando la sua azione legislativa inefficace, minacciando che oramai poteva farne a meno e che ne avrebbe eletto uno nuovo. Alle parole di Crasso, Filippo risponderà con minacce severe (sequestrerà i suoi beni) ottenendo la seguente risposta (paragonabile al canto del cigno):

Forse credi di spaventarmi con l’ipoteca sui miei beni – gridò – tu, che, dopo aver considerato tutt’intero quest’ordine alla stregua d’un bene da confiscare, ne hai distrutta l’autorità al cospetto del popolo romano? Non devi sequestrare i miei beni, se vuoi costringermi a cedere! Devi troncare questa mia lingua! Ma, anche quando mi fosse strappata via dalla gola, la mia libertà col suo stesso alito si opporrebbe alla tirannide!

Era stato così tanto lo sforzo nella sua oratoria che fu colto da dolori al fianco e ricondotto a casa febbricitante. Dopo sette giorni morì, morì in tempo per non vedere come Roma stesse degenerando. Ecco perchè i concetti espressi da Crasso sono così importanti nella costruzione di un buon oratore. 

Seguendo il ragionamento del retore, riporto di seguito alcuni principi fondamentali.
  1. prendendo spunto dalla filosofia antica, Crasso esprime che non ci sono cose che, staccate dal tutto, possono continuare ad esistere per sè sole e senza di esse le altre non possono conservare la loro vita e durare in eterno. Esiste un legame tra le scienze delle arti liberali che tiene stretti tutti i pensieri, testi, ragionamenti e opere: si tratta dell'amicizia. Esaminati, infatti, tutti i rapporti di causa ed effetto, si capisce che tutte le conoscenze sono collegate da un qualcosa che è l'armonia (III, 20-21);
  2. se il punto precedente ci porta a pensare nuovamente a una forma di conoscenza enciclopedica, Crasso ci riporta sulla terra considerando l'arte associata alla conoscenza enciclopedica, ovvero l'oratoria. Caratteristica principale di questa è la seguente: qualunque sia l'argomento, le idee o ragionamenti, una sola è l'eloquenza. Lo è sia nel contenuto del suo argomentare (da questioni scientifiche a quelle giudiziarie), ma anche nel fine (può istruire, infiammare, dissuadere, aizzare, eccetera). L'eloquenza e lo studio sono strettamente connessi e interdipendenti: hanno lo stesso peso (III, 22-25);
  3. l'unità nella varietà. Questo punto è strettamente connesso a quello espresso nel primo punto. Crasso afferma che, secondo lui, non esiste in natura alcun ordine di cose che non riveli, nell'ambito delle immense differenze e somiglianze, la presenza di una struttura armoniosa e piacevole (un tutt'uno).A questo proposito, Crasso prende in considerazione due arti, la pittura e la scultura, e afferma che, prese singolarmente, producono opere di grande varietà e aspetti in quanto è proprio nell'artista la presenza di una particolarità di produzione che lo differisce dall'altro (nonostante si stia ora parlando di pittura ora di scultura). E tale ragionamento vale anche per l'oratoria: tutto dipende dalle particolari qualità d'ognuno. Nella versione latina il concetto viene espresso nel seguente modo. "non sic, ut alii vituperandi sint, sed ut ii, quos constet esse laudandos, in dispari tamen genere laudentur" (III, 26). Il ragionamento poi continua prendendo in considerazione la familiarità tra l'arte oratoria e quella poetica: elenca alcuni nomi, tra cui Ennio, Eschilo, Sofocle, Euripide (tutti ugualmente celebri, nonostante il loro diverso modo di poetare - "quamquam omnibus par paene laus in dissimili scribendi genere tribuatur") concludendo con una domanda "Quis horum non princeps temporibus illis fuit? Et suo tamen quisque in genere princeps" (III, 26-28).
Come è possibile notare appaiono ragionamente leggermente distanti dalla visione della copia più o meno distante dalla verità, e si focalizza l'attenzione sull'ingegno della persona artista che può diventare il princeps della sua arte nella sua epoca.



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